Certificati Agrim e pratiche abusive in dogana
07/04/2017
Rubrica a cura dello Studio Legale Armella & Associati, Genova - Milano - www.studioarmella.com
La Corte di Cassazione, con la sentenza 27
gennaio 2017, n. 2067, dopo aver individuato i confini dell’abuso del diritto
in materia doganale e i requisiti in base ai quali il comportamento di un
operatore può invece ritenersi legittimo, ha rinviato la controversia al
giudice di merito, perché valuti, nel concreto, se le operazioni poste in
essere dall’importatore sono effettivamente prive di giustificazione economica.
In particolare, nel caso di specie, la
società accertata, operante nel settore ortofrutticolo, aveva esaurito la quota
di contingente previsto dal proprio certificato Agrim per importare aglio a
dazio ridotto dall’Argentina. Per tale motivo, la merce è stata acquistata da
un’altra azienda, la quale, a sua volta, l’ha ceduta, allo stato estero, a un
altro soggetto nazionale, che aveva il titolo per immettere in libera pratica i
beni[1],
usufruendo dell’agevolazione tariffaria.
Importati i prodotti, questi sono stati
acquistati da una terza ditta, che, infine, li ha venduti alla società
accertata, ritenuta dall’Ufficio l’importatore effettivo e, pertanto, il reale
debitore d’imposta.
Attraverso tale meccanismo, l’operatore è
riuscito ad acquistare aglio a dazio agevolato, per quantità superiori a quelle
spettanti in base al proprio certificato di importazione.
L’Agenzia delle dogane ha contestato tali
operazioni, considerandole a priori abusive, giacché il comportamento della
società avrebbe avuto unicamente lo scopo di aggirare il divieto, previsto dal
legislatore comunitario, di trasferire i diritti derivanti dai titoli Agrim.
I
certificati Agrim
Il Regolamento CE 30 maggio 2001, n. 1047
(attualmente abrogato e sostituito dal Reg. CE 29 marzo 2007, n. 341[2])
ha istituito un regime di titoli di importazione per l’aglio importato da Paesi
terzi, fissando le modalità di gestione dei contingenti tariffari.
In particolare, a partire dal 1° giugno 2001,
il dazio doganale normale per le importazioni di aglio si compone di un dazio ad valorem del 9,6% e di un dazio
specifico, pari a 1.200 euro per tonnellata netta. A seguito di accordi
internazionali stipulati, a norma dell’art. XXVIII Gatt (1994), con Argentina e
Cina, che sono i principali fornitori dell’Unione europea, gli operatori
comunitari possono, tuttavia, importare un determinato quantitativo di aglio in
esenzione totale dal dazio specifico (c.d. contingente Gatt).
Tale agevolazione tariffaria è subordinata al
rilascio, da parte del Ministero per lo sviluppo economico, di un titolo di
importazione, denominato “certificato Agrim”, che consiste in un atto
amministrativo vincolato, a scadenza definita, con il quale si autorizza
l’importazione di un certo quantitativo di prodotti agricoli entro il periodo
di validità del titolo stesso.
L’immissione in libera pratica “agevolata” dell’aglio
nell’ambito del contingente Gatt avviene attraverso la presentazione, in
dogana, del certificato Agrim c.d. “titolo A”, che consente all’operatore di
importare il prodotto, versando unicamente il dazio ad valorem.
Le restrizioni quantitative dei certificati
Agrim sono necessarie non soltanto per salvaguardare la concorrenza tra gli
importatori, ma anche per dare la possibilità a coloro che esercitano
effettivamente un’attività commerciale nel mercato degli ortofrutticoli di
difendere la loro legittima posizione commerciale e per impedire che un solo operatore
possa controllare il mercato[3].
A tale scopo e al fine di impedire
speculazioni nell’assegnazione dei titoli d’importazione per l’aglio del
contingente Gatt, da un lato, il considerando 14 del Reg. CE 341 del 2007
stabilisce che lo stesso soggetto non può presentare più di una richiesta,
dall’altro, l’art 6, par. 4, Reg. CE 341 del 2007 prevede che “i diritti derivanti dai titoli A non sono
trasferibili”.
Di conseguenza, in mancanza di un titolo A
ovvero esaurita la propria quota di contingente tariffario, le società non
possono acquistare da altri importatori le licenze Agrim, ma devono
corrispondere in dogana il dazio in misura normale.
Gli operatori che non sono più in grado di
importare ulteriori quantitativi a dazio agevolato possono, tuttavia,
acquistare l’aglio da altri importatori che hanno già provveduto al suo
sdoganamento, avvalendosi dei propri titoli A, ottenuti in modo regolare. Tale
pratica, però, è stata ritenuta abusiva dall’Ufficio.
Le
pratiche abusive
La Corte di Cassazione, con la sentenza 2067
del 2017, ha affermato, nel pieno rispetto dei principi espressi dai giudici
comunitari[4],
che per accertare l’esistenza di una pratica abusiva devono ricorrere,
congiuntamente, un elemento oggettivo e uno soggettivo.
Il primo si manifesta in un insieme di
circostanze da cui deve risultare che, nonostante il rispetto formale delle
condizioni previste dalla normativa unionale, l’obiettivo da essa perseguito
non è stato raggiunto.
Sotto il profilo soggettivo, invece, una
fattispecie si considera elusiva se lo scopo essenziale delle operazioni
controverse è ottenere un vantaggio fiscale indebito, mediante la creazione
artificiosa delle condizioni richieste per il suo conseguimento.
In ambito doganale, pertanto, si potrebbe
configurare, in astratto, abuso del diritto quando un soggetto, non potendo
beneficiare di agevolazioni tariffarie al momento dell’importazione, acquista i
beni tramite un operatore, che, invece, possiede legittimamente i requisiti per
immettere in libera pratica la merce a dazio ridotto.
Ciò premesso, i giudici di legittimità,
conformandosi all’orientamento della giurisprudenza comunitaria in tema di
utilizzo dei certificati Agrim, hanno affermato che il meccanismo mediante il
quale una società, che non dispone di un titolo nell’ambito del contingente
Gatt, si rivolge a un altro operatore che, acquistata la merce da un fornitore
extracomunitario, la cede allo stato estero a un terzo soggetto il quale, senza
trasferire la propria licenza, la immette nel mercato unionale, per poi rivenderla
alla prima società, non può essere, a priori, considerato elusivo.
Occorre, tuttavia, esaminare in concreto,
attraverso alcuni indici, se tali operazioni, viste nel loro complesso, sono
legittime ovvero si connotano come abuso del diritto.
In particolare, è rivelatrice di una pratica
elusiva l’influenza che l’operatore può avere conseguito sul mercato a seguito di
importazioni a dazio agevolato.
È altresì opportuno accertare che i titoli Agrim
siano stati richiesti e ottenuti regolarmente dagli importatori, i quali, per
non essere considerati meri soggetti interposti, devono svolgere un’attività
commerciale effettiva e non apparente.
Per tale motivo, tutte le fasi dell’operazione
devono svolgersi a fronte di un prezzo di mercato congruo e, pertanto,
l’acquirente deve dimostrare che ogni operatore coinvolto ha percepito una
adeguata remunerazione per l’importazione, la vendita e la rivendita della
merce.
Fra gli elementi che potrebbero consentire
all’Agenzia delle dogane di accertare il carattere artificioso delle
transazioni rientra anche il fatto che l’importatore, intestatario dei titoli A,
non abbia assunto nessun rischio commerciale, essendo stato quest’ultimo in
realtà coperto dal suo acquirente, attraverso, ad esempio, la stipulazione di
un contratto di compravendita antecedente la data dell’immissione in libera
pratica.
Infine, al fine di dimostrare che
l’acquirente non ha conseguito un vantaggio indebito e che le importazioni non
sono prive di una giustificazione economica e commerciale, il prezzo di vendita
dei beni deve essere fissato a un livello tale da permettere agli importatori
di trarre un significativo guadagno dalle rivendite.
Lorenzo Ugolini
[1] Per
approfondimenti, Armella, Diritto
doganale dell’Unione europea, Milano, 2017, pagg. 47 e 48).
[2] Tale
regolamento ha abrogato il Reg. CE 16 novembre 2005, n. 1870, il quale, a sua
volta, aveva abrogato il Reg. CE 2 aprile 2002, n. 565. Si ricorda che il Reg.
CE 341 del 2007, attualmente in vigore, è stato modificato dai Reg. UE 21
aprile 2010, n. 328 e 12 giugno 2014, n. 628, il quale ha modificato il
contingente tariffario d’importazione per l’aglio originario dalla Cina.
[3] Al riguardo, Corte di
Giust. 13 marzo 2014, C-155/13 (p. 35).
[4] Corte
di Giustizia 14 aprile 2016, C-131/14 (p. 32) e Corte di Giustizia 13 marzo
2014, C- 155/13 (p. 30), entrambe in curia.eu.