Elenco Europeo degli impianti di riciclaggio navi: apertura ai paesi terzi necessaria

04/05/2017

Elenco Europeo degli impianti di riciclaggio navi: apertura ai paesi terzi necessaria

Il Regolamento (UE) n. 1257/2013 (di seguito il “Regolamento”), entrato in vigore il 30 dicembre 2013 e volto ad introdurre nell’UE i contenuti della Convenzione di Hong Kong del 2009 sul riciclaggio delle navi, ha l’obiettivo di ridurre drasticamente le disparità, in termini di sicurezza ambientale e di condizioni di lavoro, tra i principali operatori del settore, siano essi membri dell’Unione Europea o appartenenti a Paesi terzi.

Alla luce di tale obiettivo, il Regolamento invita gli Stati membri ad orientare le scelte relative al riciclaggio  delle proprie navi verso impianti che adottino metodi di demolizione sicuri e compatibili con l’ambiente, garantendo così il contestuale raggiungimento di finalità eterogenee quali la tutela della sicurezza ed il rispetto dell’ecosistema.
La predisposizione di una nuova normativa europea in tema di demolizione, smaltimento e riciclaggio di navi nasce, oltre che da motivazioni di natura prettamente pratica, anche dall’esigenza di contrastare fenomeni di sfruttamento del lavoro e di diffusione di attività pericolose che, in quanto non regolamentate e non sottoposte a controlli adeguati, contribuiscono a creare notevoli criticità in un settore di significativo e crescente rilievo nel mondo dello “shipping” .
Lo scopo che si intende perseguire, pertanto, mira alla realizzazione di impianti di riciclaggio altamente attrezzati, monitorati da organi preposti al loro controllo e dotati di specifici requisiti di capacità ed efficienza tali da garantire il buon esito delle operazioni riconducibili al fine-vita delle navi.
A tal fine, il Regolamento prevede la creazione di un “elenco europeo” degli impianti di demolizione, smaltimento e riciclaggio di navi, abilitati a esercitare dette attività in virtù del possesso di appositi requisiti (ispirati a quelli previsti dalla Convenzione di Hong Kong) volti a garantire la loro efficienza e, al contempo, la compatibilità del loro operare con la tutela dell’ambiente circostante. Nell’ambito del predetto elenco, il Regolamento dispone inoltre la suddivisione degli impianti ivi indicati in due sotto-elenchi, l’uno relativo alle strutture comprese nel territorio comunitario e l’altro relativo ai cantieri situati in Paesi terzi.
In attuazione di quanto disposto dal Regolamento, il 22 Dicembre 2016 la Commissione Europea ha esaminato una prima lista di cantieri da inserire nel cosiddetto “elenco europeo”, redatto sulla base dei criteri indicati dalle pertinenti disposizioni del Regolamento e contenente soltanto impianti localizzati nel territorio dell’Unione Europea.
A tale proposito, la European Community Shipowners’ Association (ECSA) ha ravvisato in quest’ultima circostanza un dato negativo rispetto ai fini di omogeneità perseguiti dalla normativa comunitaria, rilevando che l’esclusivo inserimento di strutture comunitarie non favorirebbe l’eliminazione dei fenomeni che il nuovo corpus normativo mira proprio a scongiurare.
Il Segretario Generale dell’ECSA, Patrick Verhoeven, ha altresì evidenziato la necessità di includere anche cantieri navali di Paesi terzi, specialmente ove già conformi agli standard internazionali stabiliti dalla Convenzione di Hong Kong del 2009.
Nel solco di tali considerazioni, l’ECSA ha dunque presentato alle istituzioni comunitarie un’istanza volta a sollecitare l’estensione dell’elenco europeo degli impianti di riciclaggio di navi anche a cantieri situati al di fuori dell’Unione Europea, così da innalzare ulteriormente il livello di sicurezza e renderlo il più possibile omogeneo a livello globale.

Secondo quanto sostenuto dall’ECSA, il riconoscimento comunitario di cantieri localizzati in Paesi terzi avrebbe l’effetto di stimolare tutte le altre imprese del settore ad adeguare le proprie strutture agli standard indicati dalla Convenzione di Hong Kong e riproposti dal Regolamento: soltanto con l’ammodernamento dei propri impianti, infatti, dette imprese avrebbero la possibilità di essere a loro volta incluse nell’”elenco europeo”.
La Commissione Europea, peraltro, ha evidenziato che il procedimento di inclusione di cantieri appartenenti a Paesi terzi richiede del tempo, sia per le inevitabili (e talvolta significative) differenze di organizzazione e regolamentazione del lavoro che contraddistinguono detti cantieri rispetti a quelli comunitari, sia perché sono già al vaglio delle istituzioni comunitarie numerose richieste di ammissione all’elenco europeo da parte di imprese ubicate al di fuori dell’Unione Europea, la cui valutazione implica necessariamente controlli molto approfonditi.
A quest’ultimo riguardo, la Commissione ha invero precisato che l’iscrizione nell’elenco europeo di un impianto di riciclaggio di navi di un Paese terzo è subordinata al rilascio di un apposito attestato da parte di un verificatore indipendente, il quale procederà in tal senso soltanto a seguito di ispezioni ad hoc condotte sul luogo in cui sorge il cantiere e sempre che riscontri la piena conformità dell’impianto considerato ai requisiti indicati dal Regolamento.
A livello statistico, come opportunamente rilevato dal Segretario Generale Verhoeven, basti rilevare che, nel 2016, circa 150 navi porta-container sono state inviate alla demolizione: l'attuale elenco dell'Unione Europea, per via dei rigorosi vincoli imposti ai cantieri in termini di lunghezza e pescaggio delle navi da smaltire, permetterebbe il riciclaggio soltanto di 16 delle predette navi porta-container, vale a dire soltanto di quelle di minor dimensione.
Alla luce delle riflessioni svolte, è dunque auspicabile che la Commissione Europea proceda immediatamente alla pubblicazione di una doppia lista di impianti di riciclaggio situati tanto nel territorio comunitario quanto in Paesi terzi, agevolando in tal modo l’omogenea attuazione dei principi indicati dalla Convenzione di Hong Kong del 2009.

Rubrica a cura dello Studio Legale Mordiglia, Genova - Milano - www.mordiglia.it - mail@mordiglia.it


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