Il disastro di Baltimora: riflessioni sulla limitazione del debito armatoriale in Italia
30/04/2024
Rubrica a cura dello Studio Legale Siccardi Bregante & C. - www.siccardibregante.it - studio@siccardibregante.it
Intorno
all’1.30 circa del 26 marzo 2024 (6.30 ora italiana) la nave portacontainer “Dali”,
battente bandiera di Singapore e di stazza lorda superiore a 95.000 tonnellate,
ha urtato un pilone del ponte Francis Scott Key di Baltimora, città americana nello
stato del Maryland, provocandone il crollo.
Le
indagini relative alle cause del sinistro e alle relative responsabilità sono
ancora in corso, ma è agevole comprendere, dato l’impatto dell’incidente, che si
discuterà di danni milionari. Infatti, oltre alla distruzione del ponte, verranno
in rilievo danni alle persone (infortunati e deceduti), alla nave, al carico,
all’equipaggio, ai beni caduti dal ponte in mare, da inquinamento, quelli
derivanti dalla interruzione del traffico (soprattutto navale), nonché i costi
e le spese di recupero e salvataggio.
Un
sinistro di tale portata e complessità, che vedrà ineludibilmente coinvolto
l’intero comparto degli assicuratori marittimi con le rispettive coperture (Protection & Indemnity, Hull & Machinery e Cargo), consente di svolgere riflessioni
su molteplici fronti, tra cui quello relativo alla limitazione della
responsabilità dell’armatore. Notizie di cronaca riportano che, ad inizio
aprile, l’armatore e il manager della
“Dali” avrebbero presentato istanza alla U.S. District Court in Maryland, diretta,
in prima battuta, a negare qualsiasi responsabilità degli stessi per il
suddetto incidente ovvero, in subordine, a limitare il risarcimento dovuto ai
sensi del “Limitation of Liability Act”
del 1851. Tale “Act”, codificato nel
Dicembre 2022 nel “United States Code”
(più in particolare nel Title 46 “Shipping”, Subtitle III “Maritime
Liability”, Chapter 305 “Exoneration and limitation of liability”,
§ 30523 “General limit of liability”)
e considerato applicabile a prescindere dalla bandiera della nave, consente, in
generale, la limitazione della responsabilità armatoriale in caso di incidenti
occorsi “without the privity or knowledge of
the owner” sulla
base del valore della nave e del nolo ancora dovuto dopo l’incidente (“the liability of the owner of a vessel for
any claim, debt, or liability … shall not exceed the value of the vessel and
pending freight…”), ovvero, nel caso di specie, entro un importo di 43,7
milioni di dollari, pari all’1-2% del costo stimato del disastro (2-4 miliardi
di dollari).
Come
è agevole riscontrare nel caso di Baltimora, l’applicazione dell’istituto della
limitazione, pur essendo profondamente radicato nella tradizione del diritto
marittimo, può avere effetti pratici largamente derogatori rispetto ai principi
generali in tema di responsabilità patrimoniale. Seppure lo stesso trovi la
propria giustificazione storica nell’incentivo all’esercizio di un’attività
imprenditoriale rischiosa e, più recentemente, anche nell’esigenza di contenere
la responsabilità dell’armatore entro i limiti della relativa copertura
assicurativa, la limitazione dovrebbe comunque salvaguardare l’effettività e
l’adeguatezza del risarcimento del danno conseguente alla lesione di diritti
primari, quali, in primis, quelli
della persona.
Calati
i fatti di Baltimora nel contesto normativo italiano e partendo dall’assunto
che, nel nostro ordinamento, la limitazione della responsabilità armatoriale è
disciplinata dalla legge dello Stato di bandiera (art. 7 cod. nav.), è
possibile domandarsi se una strategia protettiva analoga a quella posta in
essere dall’armatore della “Dali” sarebbe stata ipotizzabile anche in Italia per
una nave battente bandiera italiana.
Il
sistema tradizionale previsto dal nostro codice della navigazione, oggi
applicabile alle navi italiane di stazza lorda inferiore a 300 tonnellate,
conferisce all’armatore il diritto di beneficiare della limitazione di
responsabilità (rectius di debito) secondo
un criterio di globalità, nel senso che sono sottoposte a limitazione tutte le
obbligazioni contratte in occasione e per i bisogni di un viaggio o per fatti e
atti compiuti durante lo stesso, fatte salve le ipotesi di colpa grave e dolo personali
dell'armatore. La determinazione dell’importo della somma-limite è commisurata dal
codice al valore della nave alla fine del viaggio e “all'ammontare del nolo e di ogni altro provento del viaggio”. La
procedura è attivabile su ricorso dell’armatore, è imperniata sul principio
concorsualistico e determina, dalla data di pubblicazione della sentenza di
apertura della procedura di limitazione, l’improcedibilità e la sospensione di
atti esecutivi sui beni dell’armatore per le obbligazioni armatoriali sorte in
occasione e per i bisogni di un viaggio o per fatti e atti compiuti durante lo
stesso. Il beneficio della limitazione è subordinato alla costituzione di un
fondo di limitazione fino al limite invocato.
Tale
sistema di limitazione è stato esclusivo fino al 2012 e ha sempre funzionato, seppure
divergente, sotto vari profili, dalla disciplina adottata dagli strumenti
internazionali uniformi, vale a dire la Convenzione di Bruxelles del 1957 e la
Convenzione di Londra del 1976, modificata dal Protocollo del 1996 (“LLMC
1996”), la quale ultima, ad esempio, ammette alla limitazione anche soggetti
diversi dall’armatore (quali il charterer, il manager e il operator of a sea-going ship) e adotta
il criterio della lista “chiusa” dei crediti ammessi alla limitazione, con modalità
di calcolo della somma-limite commisurati alla stazza lorda della nave
(piuttosto che al valore della stessa).
Nel predetto
contesto normativo si è inserito, senza ratifica di alcuno dei suddetti
strumenti internazionali, il D.Lgs. 111/2012, che, inteso a dare attuazione in
Italia alla Direttiva 2009/20/CE del 23 aprile 2009 sull’assicurazione degli armatori
per i crediti marittimi, abroga la norma del codice della navigazione sulla
limitazione del debito dell’armatore con riferimento alle navi italiane di
stazza lorda pari o superiore alle 300 tonnellate e individua “limiti di responsabilità armatoriale” commisurati
alla stazza lorda della nave, riproducendo gli scaglioni previsti dall’art. 6
della LLMC 1996 nella sua formulazione originaria.
Tale
Decreto Legislativo prevede altresì che, per la responsabilità relativa a
crediti derivanti da un singolo evento e sorti in relazione alla morte o a
lesioni personali di passeggeri di una nave, il limite della responsabilità del
proprietario della nave sia pari ad un ammontare di 175.000 diritti speciali di
prelievo moltiplicato per il numero di passeggeri che la nave è autorizzata a
trasportare in base al certificato della nave.
La
normativa in questione si riferisce alla generalità dei crediti (e non solo alla
lista dei crediti ammessi alla limitazione in base all’art. 2 della LLMC 1996)
e, a differenza di quanto previsto nella LLMC 1996 (oltre che nell’art. 275
cod. nav.), non contiene disposizioni che impediscono la limitazione della
responsabilità in caso di comportamento doloso, gravemente colposo o temerario dell’armatore,
il che potrebbe far ritenere che il diritto alla limitazione sia sempre
possibile, con conseguenti dubbi di costituzionalità dello stesso.
Infine,
la “nuova” normativa non contiene alcuna disciplina processuale, tanto che sono
emersi problemi sulla relativa applicabilità, anche per via delle questioni
sollevate circa la possibilità di utilizzare le norme di cui agli artt. 620-642
cod. nav., ritagliate per la disciplina sostanziale tradizionale.
In mancanza
di puntuale ratifica da parte del legislatore nazionale della LLMC 1996, l’entrata
in vigore del D. Lgs. 111/2012, solo parzialmente evocativo della disciplina
sovranazionale sulla limitazione della responsabilità armatoriale, ha causato
non solo incoerenze tra le norme interne e il regime internazionale, ma anche
gravi lacune. Infatti, mentre prima di tale intervento legislativo il nostro sistema
di limitazione della responsabilità, seppur non aggiornato rispetto agli
“standard” internazionali, aveva una sua organicità e sistematicità, oggi l’istituto
della limitazione risulterebbe di incerta applicazione in Italia per le navi
italiane di stazza lorda pari o superiore alle 300 tonnellate. Pertanto, ove i
fatti di Baltimora fossero occorsi nel nostro paese ad una nave come la “Dali”
(di stazza superiore a 95.000 tonnellate) battente bandiera italiana, sarebbe stato
complicato adottare una strategia protettiva analoga a quella posta in essere
dall’armatore della “Dali” in Maryland.