Responsabilità del terminalista nei confronti del vettore marittimo e dell’avente diritto al carico
08/11/2016
Affrontare il tema della responsabilità dell’operatore terminalista nell’ambito
dei trasporti via container non è affare semplice, in quanto sono molteplici
gli aspetti giuridici connessi alla gestione delle operazioni portuali (intese
quali lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle merci
e di ogni altro materiale) che avvengono all’interno dell’area portuale.
In questa sede si intende, tuttavia, dare un breve inquadramento generale
che possa essere utile ai diversi soggetti coinvolti in caso di danno alla
merce durante la sua movimentazione, affrontando il tema della responsabilità dell’operatore
terminalista sia nei confronti del vettore marittimo nel caso in cui
quest’ultimo abbia dovuto risarcire il danno sofferto dall’avente diritto al
carico mentre le merci si trovavano nel terminal,
sia verso il terzo avente diritto al
carico qualora il danno si sia verificato mentre le merci si trovavano nel terminal.
Per quanto concerne il primo dei due aspetti, se non vi sono dubbi sulla
qualificazione contrattuale dei rapporti tra vettore marittimo ed operatore
terminalista, tuttavia spesso non è chiaro in quale categoria contrattuale essi
debbano essere inquadrati. Talvolta questi rapporti sono stati qualificati come
contratti di deposito (e quindi sottoposti al regime di cui agli artt. 1766 e
ss. c.c.), altre volte come appalto di servizi (e quindi regolato dagli artt.
1655 e ss. cc.).
Se da un punto di vista dell’assolvimento dell’onere probatorio poco
cambia a seconda che si qualifichi il contratto come deposito o appalto di
servizi - dovendosi applicare la disciplina generale in tema di responsabilità
contrattuale – l’aspetto che distingue nettamente la prima specie dall’altra
risiede nel diverso termine di prescrizione: ordinario decennale per il deposito,
breve biennale per l’appalto di servizi, così come previsto per l’azione per
fare valere i vizi di cui all’art. 1667, c. 3 c.c.
Un aspetto che rimane comunque invariato a prescindere dalla
qualificazione contrattuale considerata è la possibilità di inserire nei
contratti stipulati tra vettore marittimo ed operatore terminalista clausole che
limitano la responsabilità di quest’ultimo, con esclusione tuttavia dei casi di
dolo o colpa grave nei quali la legge non ammette esclusioni pattizie di
responsabilità.
In relazione invece al secondo degli aspetti accennati, l’interpretazione
maggioritaria ritiene che l’azione dell’avente diritto al carico nei
confronti dell’operatore terminalista debba qualificarsi in termini
extracontrattuali.
Non mancano tuttavia statuizioni giurisprudenziali per cui tale rapporto debba essere inquadrato come contratto
di deposito a favore di terzi. Se si considera valida quest’ultima interpretazione,
il terzo avente diritto al carico avrebbe quindi la possibilità di agire
direttamente contro l’operatore terminalista sulla base del contratto di
deposito stipulato tra vettore marittimo ed operatore terminalista, con uno
sgravio non indifferente in tema di assolvimento del proprio onere probatorio. Nel
caso opposto, vertendo in materia di responsabilità extracontrattuale, l’avente
diritto al carico sarà invece costretto a provare il danno, il nesso di
causalità tra fatto illecito e danno, nonché il dolo o la colpa dell’operatore
terminalista.
Non è inusuale, infine, che nella prassi gli operatori terminalisti si
accordino con i vettori marittimi affinché nella polizza di carico venga
inserita la c.d. Himalaya Clause.
Tale clausola estende la disciplina incorporata dalla polizza di carico
all’attività di quei soggetti di cui si avvale il vettore marittimo nell’ambito
del contratto di trasporto, con la conseguenza che anche l’operatore
terminalista, salvo casi particolari, potrà avvalersi dei limiti di limiti di
responsabilità previsti dalla legge applicabile alla polizza di carico.
Rubrica a cura dello Studio Legale Siccardi Bregante & C. - www.siccardibregante.it - studio@siccardibregante.it