Il nuovo testo unico delle leggi doganali
30/09/2024
Rubrica a cura dello Studio Legale Mordiglia, Genova-Milano - www.mordiglia.it - mail@mordiglia.it
Mentre sul piano unionale è in
itinere una profonda riforma del Codice Doganale dell’Unione (CDU)
presentata dalla Commissione Europea, a livello nazionale, a distanza di un
anno dall’approvazione della Legge delega fiscale, sono state approvate in via
definitiva dal Consiglio dei Ministri, ma non ancora pubblicate, le nuove Disposizioni
complementari nazionali al Codice Unionale, che vanno a sostituire il Testo
Unico delle leggi doganali n. 43 del 1973.
Sulla sponda unionale, dunque, si
assiste al tentativo di armonizzare e modernizzare le procedure di
import-export dei 27 Stati Membri, in accordo con le regole del WTO e del Trade
Facilitation Agreement (TFA), puntando principalmente sull’accentramento del
monitoraggio delle merci su un’unica piattaforma digitale (la Eu Customs Data
Hub gestita dalla nuova Autorità doganale europea e fruibile da parte delle
aziende unionali).
Sul fronte nazionale parimenti,
assistiamo, da un lato, all’efficientamento dell’integrazione delle azioni
dell’ Agenzia delle dogane e Guardia di finanza, volta a ottimizzare i
controlli sia negli spazi doganali, che fuori circuito con l’obiettivo di assicurare
l’osservanza delle norme doganali e valutarie, nonché contrastare le minacce
alla sicurezza dell’Unione europea e dei suoi cittadini; dall’altro, grazie
alla digitalizzazione della documentazione necessaria per l’importazione e
l’esportazione delle merci (autorizzazioni, nulla osta, certificazioni, etc.), si
confida nel coordinamento offerto della piattaforma S.U.Do.Co. (attuazione
dall’articolo 47, paragrafo 1, del codice doganale dell’Unione e fermo restando
l’esclusione ex del decreto legislativo
n. 169 del 2016) che integra i controlli disposti dall'autorità giudiziaria e
quelli svolti dagli organi competenti per la sicurezza dello Stato e dalle
forze di polizia.
Tutti i controlli di natura
amministrativa, finalizzati al rilascio di un’autorizzazione o di un nulla osta,
saranno quindi svolti nell’ambito del S.U.Do.Co., ossia contemporaneamente e
nello stesso luogo di quelli doganali, in ossequio alla normativa unionale
sullo Sportello Unico.
Accentramento e telematizzazione
sono dunque al centro delle riforme doganali sul piano europeo e italiano.
Tuttavia, mentre a livello
unionale l'attenzione delle autorità doganali si sta spostando dalla singola spedizione
alla catena di approvvigionamento, concentrandosi sull'importatore e
sull'esportatore stabiliti nell’Unione, nel tentativo di rafforzare il legame
tra azienda e ufficio doganale competente, a livello nazionale l’obbligazione
doganale rimane ancorata al luogo di registrazione della dichiarazione,
radicando la competenza dell’Ufficio di importazione o esportazione.
Nel futuro unionale, dunque, l’obbligazione
doganale sorgerà nel luogo in cui l'importatore è registrato e sull’operatore trust
and check verranno trasferite alcune funzioni proprie degli uffici doganali
che permetteranno la circolazione delle merci nel territorio unionale senza
alcun intervento doganale attivo.
La novella italiana invece sul
punto rimane un passo indietro, trattando ancora unicamente la figura dell’operatore
economico autorizzato (AEO).
Non solo. Alcuni tentativi di coordinamento
tra norme unionali e orientamenti nazionali possono risultare alquanto infelici,
quali ad esempio in tema di classificazione dell’Iva.
L’imposta sul valore aggiunto viene
espressamente annoverata al secondo comma dell’art. 27 del nuovo TULD tra i
diritti di confine accanto alle imposte di consumo, ma la natura stessa di “diritto
di confine” viene subito smentita nel terzo comma del medesimo articolo[1], laddove la stessa imposta debba
essere riscossa nel Paese di destinazione a conclusione di un regime 42[2] o all’uscita da un deposito
fiscale.
Tale mutevole natura dell’Iva probabilmente
cerca di conciliare opposte e divergenti esigenze: colmare il vuoto normativo
evidenziato dalla Corte di Giustizia[3] circa i soggetti passivi dell’Iva
all’importazione, risolvere la disputa giurisprudenziale sulla natura dell’Iva,
e non privare le casse nazionali di un introito rilevante.
La Corte unionale, infatti, in
tema di responsabilità del rappresentante doganale indiretto, aveva evidenziato
che lo spedizioniere, che dichiarava in nome proprio e per conto altrui, poteva
rispondere in via solidale dei soli dazi all’importazione, ma non dell’Iva, che,
ove versata, non avrebbe mai potuto essere portata in detrazione, con grave violazione
del principio di neutralità.
In tal senso si era già espressa
la stessa Corte[4],
spingendosi a definire l’Iva all’importazione come un tributo di diritto
interno.
Il giudice europeo aveva
consolidato quindi a livello unionale un indirizzo già espresso da una corrente
della Corte di Cassazione[5] e dall’Agenzia delle entrate,
intervenuta precisando che il soggetto passivo Iva dell’imposta deve sempre essere
l’effettivo proprietario dei beni[6], unico soggetto legittimato
alla detrazione dell’imposta.
Al contrario, il legislatore
nazionale, raccogliendo l’invito dell’articolo 201 della direttiva Iva[7] , ha preferito propendere per
un diverso indirizzo della Suprema Corte[8] e, invece di estendere il
novero dei soggetti passivi Iva, ha voluto qualificare la natura dell’imposta,
con una norma che non risulta né chiara, né sufficientemente precisa, come era
auspicabile nel rispetto del principio della certezza del diritto.
L’impatto della stessa è
certamente notevole sulla categoria degli spedizionieri, che avevano sperato di
vedersi riconoscere la totale estraneità all’obbligo di versamento dell’Iva in
dogana in qualità di rappresentanti doganali indiretti: speranza alimentata dalla
recente conferma della Corte di Cassazione (ordinanza 26 giugno 2023, n. 18144,
18 agosto 2023, n. 24788).
In secondo luogo, non meno
rilevanti si palesano le anomalie che tale natura “bifronte” dell’Iva è
suscettibile di generare in tema di assolvimento dell’imposta con reverse
charge su servizi intracomunitarie relativi a beni in importazione: viene “spazzato
via” un intero filone di sentenze[9] in tema di royalties, che
accertava l’illegittimità di una nuova richiesta Iva in dogana all’importazione
di beni in relazione ai quali fossero stati svolti servizi intracomunitari assoggettati
ad Iva con reverse charge.
La Suprema Corte si era
chiaramente pronunciata a favore del fatto che l’Iva interna e l’Iva
all’importazione rappresentassero il medesimo tributo e che conseguentemente il
integrasse una modalità di effettivo assolvimento dell’imposta.
Infine, non si può non
considerare l’impatto di tale scelta di campo sulle sanzioni, riformate per
ottemperare a una richiesta di riproporzionamento delle stesse in accordo con i
parametri unionali dell’art. 42 CDU.
Le sanzioni, come riformulate negli
artt. 79 e 96 del nuovo testo unico, continuano a essere parametrate alla
misura dei diritti di confine evasa, cosicchè la soglia di rilevanza penale
indicata in 10.000 euro risulta di assai facile raggiungimento, laddove l’Iva in
dogana nella maggior parte dei casi venga riscossa al 22% del prezzo del
prodotto.
Forse sarebbe stato più prudente
per il nostro legislatore attendere la risposta della Corte Costituzionale[10] sulla recente ordinanza
delle Sezioni Unite della Cassazione (n.18284/2024) prima di intervenire su un
argomento così delicato quale la natura dell’Iva.
Peraltro, il tentativo di adeguamento
delle sanzioni non convince particolarmente: in primis perché qualora
alla dichiarazione non conforme all’accertato si aggiunga l’aggravante della connessione
con altro delitto contro la pubblica o la pubblica amministrazione, si riducono
gravemente le ipotesi di illecito amministrativo. E’ ben noto, infatti, che molto
spesso l’errata rappresentazione dei dati nella bolletta doganale viene
considerata una fattispecie di “Falsità in atto pubblico del pubblico ufficiale
per induzione in errore da parte del privato” ovvero di “Falsità ideologica
commessa dal privato in atto pubblico”.
In secondo luogo, oltre alla
previsione della confisca che risulta di amplia applicazione, preoccupa la
automatica rimessione alla Procura della valutazione sostanziale circa la
sussistenza o meno del dolo di contrabbando, laddove la differenza nei diritti
di confine sia rilevata nella misura maggiore di 10.000 euro.
Il rischio di un intasamento
delle Procure rebus sic stantibus pare di estremo rilievo.
Si auspica, dunque, che tale
automatismo possa essere calmierato nella prassi, o risolto da un intervento correttivo
che “riconsegni nelle mani” delle dogane la facoltà di operare un ragionevole vaglio,
preventivo e discrezionale, degli indizi a favore o meno di una evasione
intenzionale dei diritti doganali, prima dell’invio della notizia di reato.
Tralasciando alcune novità, quali
l’abolizione della controversia doganale e il recepimento dei diritti previsti
dallo Statuto del contribuente anche nelle procedure di controllo e
accertamento doganale, con il conseguente rafforzamento del diritto di difesa,
del contraddittorio, a conclusioni di queste brevi notazioni, si ritiene che l’obiettivo
della semplificazione e del riordino della normativa nazionale, avrebbe dovuto
essere raggiunto con uno sforzo di lungimiranza e ponderazione delle scelte in
base alle conseguenze pratiche delle stesse, che doveva andare ben oltre l’accorpamento
delle norme[11] e l’evidente taglio degli articoli (da 352 a 122).
[1] Il comma 2 art. 27 stabilisce
che l’imposta sul valore aggiunto non costituisce diritto di confine nei casi
di:
a) immissione in libera
pratica di merci senza assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto, perché le
medesime sono destinate alla successiva immissione in consumo in altro Stato
membro dell’Unione europea;
b) immissione in libera
pratica di merci senza assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto e vincolo
delle medesime a un regime di deposito diverso dal deposito doganale. Si tratta
del caso di merci immesse in libera pratica e poi introdotte in un deposito
IVA.
[2] Il regime 42 prevede l’introduzione in libera pratica delle merci estere con il
pagamento dei dazi dovuti all’importazione e la sospensione dell’Iva fino allo Stato Membro di
destinazione, dove viene assolta l’imposta al momento dell’immissione in
consumo.
[3] L’articolo 201 della
direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema
comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che
non può essere riconosciuta la responsabilità del rappresentante doganale
indiretto per il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione,
in solido con l’importatore, in assenza di disposizioni nazionali che lo
designino o lo riconoscano, in modo esplicito e inequivocabile, come debitore
di tale imposta (sentenza Corte UE, 12 maggio 2022, C-714/20, UI Srl contro
Agenzia delle Dogane e dei monopoli – Ufficio delle dogane di Venezia).
[4] sentenza Corte UE 17 luglio 2014, C-272/13, Equoland scarl.
[5] Corte di Cassazione del 27 luglio 2022 n. 23526, Cass., sez. V, 12 novembre
2019, n. 29195; Cass., sez. V, 24 settembre 2019, n. 23674; Cass., sez. V, 14
febbraio 2019, n. 4384.
[6] risposta Agenzia entrate ad
interpello 1° ottobre 2021, n. 644.
[7] “All'importazione l'IVA è
dovuta dalla o dalle persone designate o riconosciute come debitrici dallo
Stato membro d'importazione”(art. 201 Direttiva UE).
[8] Cass. Sez. trib. n. 4978 del
13 gennaio 2022, n. 44459 del 5 ottobre 2022 e n. 44467 del 3 novembre 2022 n.
18286/2024.
[9] Cass., sez. trib., 6 giugno
2019, n. 15346. Cass., sez. trib., 17 maggio 2019, n. 13384 e Agenzia
delle Dogane, Nota 6 marzo
2019, n. 12243
[10] La Corte costituzionale è chiamata a valutare se vi sia violazione del
principio di eguaglianza laddove l’evasione di Iva all’importazione possa essere
soggetta a confisca a differenza dell’evasione di Iva interna, nei termini in
cui è stata rimessa la questione costituzionale sulla confisca dalla
[11] Il decreto legislativo 374 del 1990 in tema di accertamento doganale viene
abrogato e le norme confluiscono nel nuovo testo unico.